17-01-2024
MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA
Cassazione penale, sezione VI, sentenza 17 aprile 2019, n. 16855 - Maltrattamenti in famiglia.
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, è opportuno qui ricordare che l′art. 572 c.p., sotto la rubrica Maltrattamenti contro familiari e conviventi, punisce con la reclusione da due a sei anni la condotta di chiunque, fuori dei casi indicati nell′articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l′esercizio di una professione o di un′arte. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
L′art. 4, comma 1, lett. d, L. 1/10/2012, n. 172 (entrata in vigore il 23/10/2012), che ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione del Consiglio d′Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l′abuso sessuale, sottoscritta a Lanzarote il 25/10/2007, ha integralmente sostituito il testo dell′art. 572. La principale modifica apportata all′art. 572 attiene al riconoscimento espresso della rilevanza della convivenza di fatto ai fini della configurabilità del reato. La rubrica della norma è intitolata Maltrattamenti contro familiari e conviventi; nel testo dell′art. 572, comma 1 è stato introdotto il riferimento espresso, tra le persone offese del reato, accanto alla persona della famiglia, alla persona comunque convivente. La questione, dibattuta in passato, era già stata risolta nel senso seguito dal legislatore dall′orientamento ormai costante dalla giurisprudenza di merito e di legittimità che intendeva il riferimento alla famiglia come consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, fossero sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo, ricomprendendo in questa nozione anche la famiglia di fatto. Nel comma 1 della norma è stato altresì espunto il riferimento al minore di anni quattordici. Il fatto compiuto ai danni di un infra-quattordicenne è ora contemplato come circostanza aggravante ad effetto comune nel 2° co. dell′art. 572. Il comma 3 è rimasto, invece, invariato nella sua struttura.
Condotta penalmente rilevante quindi, quella consistente in comportamenti di vessazione fisica o morale non necessariamente qualificabili, se singolarmente considerati, come reato (Coppi, Maltrattamenti, in ED, 248) espressi mediante azioni od omissioni (contra Vitarelli, Maltrattamenti mediante omissione?, in RIDPP, 1998, 190; Blaiotta, Maltrattamenti nelle istituzioni assistenziali e dovere costituzionale di solidarietà, in CP, 1996, 514; Pisa, Carenze sanitario assistenziali e maltrattamenti mediante omissione, in DPP, 1995, 207), e ripetuti nel tempo. L′ampiezza del termine maltrattare, di per sé fonte di tante perplessità, relativamente al mancato rispetto del principio di determinatezza, si presta in questo caso a comprendere in sé anche comportamenti caratterizzati da condotte omissive, come condotte eccessivamente protettive e quindi limitanti il naturale sviluppo psicofisico del minore, seppur dallo stesso non percepite come tali, in contrasto consapevole con autorevoli e ripetuti interventi a sostegno del minore. In tal senso anche una recente giurisprudenza (Cass. pen. sez. VI, 23/9/2011, n. 36503). Pur nella diversità e nell′ampiezza delle categorie dei possibili soggetti passivi di questo reato, la dottrina così come la giurisprudenza individuano un minimo comun denominatore che tutte accomuna, dato dalla esistenza di un rapporto di condizionamento fisico o morale in cui le vittime devono a trovarsi e che le espone al rischio di quei danni in cui consiste il contenuto di offesa di tale reato. Si richiede che la relazione presenti intensità e caratteristiche tali da generare un rapporto stabile di affidamento e solidarietà tra le persone coinvolte, indipendentemente dal carattere monogamico della relazione e dalla continuità della convivenza, intesa come coabitazione (Cass. pen. sez. VI, 18/3/2014, n. 31121). Il mero rapporto sentimentale, sia pure di una certa durata, che difetti di qualsiasi manifestazione tangibile di stabilità, quale la convivenza, non consente di ritenere sussistente quella situazione di minore reattività nella vittima, generata dall′affidamento, che consente di configurare il delitto di maltrattamenti (Cass. pen. sez. VI, 7/7/2015, n. 32156). Il delitto può essere commesso dal suocero in danno della nuora (Cass. pen. sez. II, 23/4/2015, n. 30934). Con particolare riferimento a situazioni analoghe a quella oggetto di esame, la giurisprudenza ha ritenuto configurabile il reato in questione nel caso di un genitore che aveva posto in essere condotte consapevolmente perturbatrici dell′equilibrio e dell′evoluzione psichica della figlia minore con atteggiamenti diretti a stimolare in lei un′impropria e precoce inclinazione erotico-sessuale, con palese turbamento della sua equilibrata evoluzione psichica: e ciò aveva fatto girando nudo e con fare esibizionista per casa, usando video-riprendere la piccola in pose seducenti e provocanti, facendo con lei il "gioco del dottore" toccandola nelle parti intime: Cass. pen. sez. 6, n. 38962 del 22/10/2007, A., CED Cass. 237644). In senso conforme si è ritenuto che il delitto di maltrattamenti in famiglia consiste in una serie di atti lesivi dell′integrità fisica, della libertà o del decoro del soggetto passivo, nei confronti del quale viene posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica e programmata tale da rendere la stessa convivenza particolarmente dolorosa: atti sorretti dal dolo generico integrato dalla volontà cosciente di ledere la integrità fisica o morale della vittima (Nella specie la Corte ha ritenuto integrare il reato in questione nel coinvolgimento del minore , da parte degli imputati, nei loro giochi amorosi: Cass. pen. sez. 3, n. 4752 del 22/04/1998, P.M. e S. ed altri, CED Cass. 210707).
Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte di appello aveva confermato la decisione del Tribunale che aveva condannato l′imputata per il reato di maltrattamenti ai danni della figlia minore. In particolare, era contestato all′imputata di aver maltrattato la figlia minore che veniva ingiuriata, minacciata e percossa, fatta oggetto di offerta di sostanza stupefacente di cui la madre faceva ampio e frequente uso al cospetto della figlia che poteva assistere alla alterazione psico-fisica (potendo la minore assistere ripetutamente ai rapporti sessuali della madre con diversi uomini), cosi infliggendo alla minore sofferenze fisiche e morali tali da rendere abitualmente dolorosa e intollerabile la convivenza. Ricorrendo in Cassazione, l′imputata contestava l′affermazione di responsabilità sulla base delle sole dichiarazioni della minore, che non potevano essere ritenute sufficienti, tenuto conto che la minore era solita consumare droghe insieme alla madre prima di andare in discoteca e che la stessa volesse semplicemente sottrarsi alle incombenze domestiche, circostanze che facevano emergere l′esistenza di un conflitto tra la figlia e la genitrice.
La Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha respinto la tesi difensiva, in particolare rilevando come la Corte d′appello aveva analizzato le dichiarazioni della minore valorizzando quanto dalla medesima riferito in ordine al regime di vita impostole dalla genitrice, che la costringeva ad assistere ai rapporti sessuali avuti con diversi uomini - anche contemporaneamente - e ad assumere droga. Inoltre, era stata anche apprezzata la condotta violenta determinata dalla gelosia della madre per i complimenti rivoltale dagli occasionali accompagnatori. Comportamenti, quelli descritti, che si erano protratti fino ad una sera, durante la quale la minore era stata picchiata e minacciata con un coltello, trovando soccorso presso l′abitazione dell′ex marito dell′imputata che l′aveva soccorsa ed accompagnata presso le forze di polizia per la presentazione della denuncia. Dichiarazioni confermate, oltre che da altri soggetti, da quanto direttamente percepito dall′ex marito della donna a cui la minore era legato, già affidatario del figlio avuto con la stessa, che aveva subito analoga sorte in considerazione della condotta della donna che era solita sedare il minore con sonniferi, per poter uscire indisturbata la sera.
Da qui, dunque, l′inammissibilità del ricorso.